Return to Sezione 4 Gli articoli degli anni 1972-73 sul campo unigravitazionale. Premessa.

C) La Gravità e le altre “forze”. (Parte prima).

C) La Gravità e le altre “forze”. (Parteprima).

PREMESSA. 

I lettori facciano molta attenzione: essi hanno ora la documentazione testuale di quanto avevamo anticipato nel cap.2.6 (Gravità-Massa). Il primo documento qui pubblicato segue cronologicamente di tredici anni il secondo, che è l’ultimo dei tre lavori pubblicati su “Tempo nuovo” negli anni 1972-73: quello dedicato al confronto tra la gravità e le altre presunte “forze” cosmiche, che sono in realtà manifestazione della stessa gravitazione nell’ambito microcosmico.

Il nostro articolo ha, intanto, un suo intrinseco fondamentale interesse, perché chiude la trattazione teorica generale della nuova fisica, svolta in questa sez.4, a convalida della sintesi che ne era stata fatta nella sez2. Esso è la dimostrazione del carattere fallace delle leggi gravitazionali dovute alla triade Keplero, Galileo, Newton e fu pubblicato in un tempo – l’anno 1973 – in cui era pazzesco contestare quelle leggi, dalle quali derivano tutta la fisica e la cosmologia moderne. Ma la sua importanza è enormemente accresciuta dal fatto che tale confutazione è stata prodigiosamente confermata in ogni dettaglio dalla revisione che un gruppo di ricercatori americani fece nel 1986 degli esperimenti di Eötvös pubblicati nel 1922.

Il primo documento è, appunto, un trafiletto giornalistico del 10 gennaio 1986, che sintetizza la notizia dell’avvenimento, pubblicata il 6 gennaio dalla rivista Physical Review Letters e ripresa dal New York Times. Il fatto suscitò allora un clamore enorme: che le masse minori fossero accelerate dalla gravità più di quelle maggiori, e non in egual misura, e che l’accelerazione dipendesse anche dalla composizione atomica delle masse, era cosa tanto sconvolgente che, per non buttare all’aria non solo Galileo, Keplero e Newton, ma anche Einstein in cordata con loro, si dovette inventare seduta stante una “quinta forza” o “supercarica” in funzione antigravitazionale!

I nostri lettori sanno quali sono le tecniche usate dall’istinto di conservazione dell’establishment. Sono quelle del manzoniano conte zio nel colloquio col padre provinciale: “Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire”. Proprio per questo è bravo chi sa dirci oggi qualcosa sulla fine fatta dai risultati di quella ricerca e dalle pseudo-spiegazioni addotte a quel tempo. Ma se i lettori stessi non vogliono attribuire virtù profetiche al titolare di queste pagine, capiranno che i due documenti qui presentati si convalidano a vicenda in modo irrefutabile: è impossibile affossare il primo, perché era stato pronosticato dal secondo, ed è impossibile contestare il secondo, perché aveva previsto minuziosamente il primo. Ancora una volta la fisica unigravitazionale usa per le sue dimostrazioni i mezzi più semplici, che proprio perché tali sfuggono ai sapientoni moderni: bastava applicare all’inverso la terza legge di Keplero, cioè all’effetto gravitazionale dei corpi minori sui maggiori, per rendersi conto che essa valeva approssimativamente solo in un senso e che quindi era sbagliata. Provato ciò, crollava irrimediabilmente tutta la cordata, fino ad Einstein, che si era fidato ciecamente delle sue guide alpine.

La trappola in cui è caduto il pensiero contemporaneo è di aver preso a bersaglio l’ipse dixit degli aristotelici e il dommatismo medievale, senza accorgersi di adottarne dei nuovi, a causa dell’inganno generato dai successi dell’empirismo associato al matematicismo. I teoremi di Newton parvero un suggello incontrovertibile di tale associazione, creando l’illusione di una loro validità universale. Ma a Newton mancava – e non poteva essere diversamente per i tempi – la conoscenza precisa della struttura ondulatoria del campo gravitazionale, per la quale la densità e l’orientamento magnetico, enormemente predominanti nell’ambito atomico, sono fattori di incremento esponenziale dell’intensità gravitazionale, a causa della coincidenza e sovrapposizione di un numero immenso di onde prodotte dai corpuscoli atomici e subatomici.

                                               

Articolo tratto da:

Tempo nuovo, Napoli 1973, nn.3-4:

Il campo unigravitazionale

LA GRAVITA’ E LE ALTRE “FORZE” (Parte prima)

di Renato Palmieri

“Il primo uomo che abbia guardato i cieli con uno strumento più potente dell’occhio umano, il telescopio da lui stesso costruito, fu Galileo Galilei; scienziato e umanista a quel tempo già famoso e circondato da immenso rispetto, amico di granduchi e cardinali, egli invitò una volta uomini noti ed eminenti, che ben lo conoscevano e stimavano, ad osservare con i loro propri occhi, attraverso il suo telescopio, gli “Astri Medicei” (le quattro lune di Giove da lui scoperte nel gennaio del 1610: queste ed altre sue scoperte astronomiche avevano messo a rumore tutto il mondo intellettuale dell’epoca). Ebbene alcuni di costoro rifiutarono di guardare: quanto Galileo asseriva non poteva essere vero perché contrario agli insegnamenti di Aristotele, e dunque perché sprecar tempo ad occuparsene? Mediti lo studente molto a lungo su questo episodio: coloro che si comportavano in tal modo, che a noi appare oggi cieco ed insensato, erano uomini di vasta cultura e non certo privi di intelletto; oltre un secolo dovette trascorrere prima che un giudizio come il nostro fosse possibile per consenso comune”. (Caianiello, De Luca e Ricciardi, Fisica, Editore Garzanti, vol. 1, pag. 87: “Scienza e dogma”).

   Meditino anche gli autori molto a lungo su questo episodio e ci facciano sapere se dovrà passare “oltre un secolo” prima che gli “uomini noti ed eminenti” della fisica moderna si provino per lo meno a vedere il telescopio, se non proprio a guardare in esso.

   Se aprissero solo gli occhi, si accorgerebbero che anche la rivoluzione scientifica rinascimentale ha fatto il suo tempo; che essa, superata la fase positiva di attacco ai vecchi dogmi, ha finito poi con l’assumere lo stesso carattere rigidamente conservatore del pensiero medievale, trasformando le proprie scoperte da ritrovati efficaci – per quello stadio della conoscenza -, ma pur sempre empirici, in nuovi assurdi dogmi teoretici, da cui la mente umana non si è ancora liberata. Capirebbero che aver sostituito nell’ “ipse dixit” ad Aristotele e Tolomeo i nomi di Keplero, Newton e ultimamente di Einstein (che ne è una fantasiosa propaggine) non significa aver operato una reale rivoluzione.

   È così avvenuto che intuizioni meravigliose per i tempi che le videro nascere – diversi secoli fa – siano state imbalsamate nell’età dell’infanzia e adorate con un culto feticistico. Poco meno che derisa come segno di rimbambimento è stata, per contro, l’unica vera grandezza di Einstein; e cioè il travaglio degli ultimi quarant’ anni della sua vita, nei quali egli lavorò disperatamente a una “teoria unificata dei campi”, seguendo un’idea che fu già di Faraday (1). Ma il tentativo, maturo alla fine del secolo scorso, era destinato al fallimento a causa dell’immane ingombro di errori accumulati successivamente dalla teoria relativistica: Einstein era ormai un patetico prigioniero di se stesso.

Protagonista di questo lavoro sarà la famosa Terza legge di Keplero:

Il rapporto tra il cubo del raggio dell’orbita (distanza media del pianeta dal Sole) e il quadrato dei periodo è lo stesso per tutti i pianeti:

R3 / T2 = costante

Nell’enunciarla, il testo sopra citato commenta (pag. 98):

“L’opera di Keplero era così compiuta. La sua terza legge, in particolare, doveva servire poi a Newton per trovare, come vedremo, la forma esatta della legge dinamica che regola tutti i fenomeni di gravitazione”.

   Ma in realtà, come vedremo, si trattava di una “illusione ottica”, non inferiore a quella tolemaica, che, inducendo in errore anche Newton, avrebbe impedito per secoli alla scienza di imboccare la giusta strada verso un’interpretazione unitaria dell’universo.

   Una facile obiezione che lo scientismo moderno farà preliminarmente è che, sulla base delle leggi di Keplero e Newton, sono stati riportati successi a tutti ben noti, come la scoperta di due nuovi pianeti, Nettuno e Plutone, e gli attuali voli spaziali. Ma è altrettanto facile rispondere – e dimostrare nel corso di questa indagine – che tali successi rientrano proprio nella fascia di empirica validità di quelle leggi, le quali, appunto perché riguardano un ambito ristretto di fenomeni, non riescono a dar conto di null’altro che non sia grossolanamente macroscopico e devono cedere il campo nel microcosmo (molecole, atomi, particelle subatomiche) a innumerevoli altre leggi e leggine inventate ad hoc dai fisici. Diceva giustamente lo stesso Keplero a riguardo di queste parziali verità:

“La conseguenza vera da premesse false è fortuita, e la sua naturale falsità si disvela da sé, non appena viene accomodata ad una cosa affine, a meno che non si conceda a colui che argomenta così di assumere infinite altre proposizioni e di non fermarsi mai nella progressione e nella regressione” (2).

   La terza legge di Keplero, dunque, con la sua stessa formulazione viene a sottolineare una caratteristica della “forza” gravitazionale che la farebbe del tutto diversa da qualsiasi altro tipo di forza conosciuta. La caratteristica è questa: la velocità di un corpo soggetto al campo gravitazionale di un altro corpo è indipendente dalla massa del corpo gravitante, essendo solo in rapporto con la distanza che lo divide dal corpo attraente. Infatti, nella formula della legge kepleriana la massa dei pianeti non compare: cosi i pianeti, grandi o piccoli che siano, orbitano intorno al Sole con un periodo che non è legato alla loro massa più o meno grande, ma solo alla rispettiva distanza dal Sole. La cosa appare confermata dalla famosa esperienza attribuita a Galileo, il quale si sarebbe servito della torre di Pisa e di sassi di diversa mole: l’esperienza (che si ripete con maggior precisione nel vuoto del “tubo di Newton”) mostra come dei gravi di massa diversa, cadendo, arrivino al suolo tutti nello stesso momento.

   Il fenomeno ha delle conseguenze pratiche importantissime, che tutti sperimentiamo continuamente, anche se è difficile rendersene conto in modo davvero consapevole. Infatti qualsiasi altra “forza” di nostra conoscenza (che non sia quella di gravità), stabilita una certa intensità della sorgente – per esempio, uno sforzo misurato dei nostri muscoli -, ha come effetto di imprimere ai corpi cui viene applicata un’accelerazione inversamente proporzionale alla loro massa: in altri termini, sottoponendo dei corpi diversi a una sorgente di forza della stessa intensità, quelli più grossi si sposteranno meno velocemente dei più piccoli. Questo è il contrario di ciò che si verifica nel “tubo di Newton”, il quale ci prova che un corpo celeste, con un identico sforzo dei suoi “muscoli” ha il privilegio di far muovere con la stessa velocità un pianeta (o satellite o altro grave) piccolissimo come uno grandissimo, dato che le diverse velocità orbitali e di “caduta” dipendono solo dalla distanza e non dalla grandezza dei corpi gravitanti. Se avessimo noi umani la medesima capacità, il nostro bambino porterebbe a spasso un convoglio ferroviario con la stessa disinvoltura con cui si tira dietro il suo trenino.

   Questa stessa differenza tra la gravitazione e le altre forze, la esprimeremo ora nei termini in cui è spiegata nei libri di fisica. Fermo restando che, per una forza costante, l’accelerazione impressa a un corpo è inversamente proporzionale alla massa di questo (3), la forza di attrazione esercitata da una certa sorgente gravitazionale (il Sole per i pianeti, la Terra per la Luna, ecc.) è a sua volta direttamente proporzionale alla massa del corpo soggetto. Ne deriva che un pianeta di massa 2 subisce dal Sole non la stessa forza attrattiva di un pianeta di massa 1 (in tal caso l’accelerazione impressagli sarebbe la metà), bensì una forza doppia e pertanto l’accelerazione non cambia: così come vuole la formula F = m a. Al contrario, per una forza diversa dalla gravitazione, stabilita una certa intensità della sorgente, la forza applicata rimane evidentemente la stessa per tutti i corpi soggetti, i quali pertanto saranno più o meno accelerati a seconda della loro massa minore o maggiore.

   Anche questa considerazione, riguardante la proporzionalità della gravità alla massa, non è un fatto teorico, ma rientra nella nostra più comune esperienza. Ognuno sa che un corpo di massa doppia rispetto a un altro “pesa” due volte tanto (in uno stesso luogo della Terra), ovvero è attirato dalla Terra con una forza due volte maggiore. Se invece la Terra, come sorgente di forza gravitazionale, si comportasse alla stregua di ogni altra sorgente di forza, dovrebbe attirare nella stessa misura (per una certa distanza) i corpi di qualsiasi massa, che quindi avrebbero un peso identico: essendo soggetti a una forza di attrazione eguale per masse diverse, verrebbero diversamente accelerati nella caduta verso la Terra, tanto meno quanto maggiore è la massa.

   Abbiamo fatto così tutto il nostro meglio per mettere nel più chiaro risalto la differenza che la terza legge di Keplero interpone tra la gravitazione e le altre forze conosciute. Essa si può riassumere nel concetto di proporzionalità (gravitazione) o non proporzionalità (altre forze) alle masse dei corpi soggetti. Abbiamo visto tutto quanto confluisce nel convalidare una tale differenza: una serie schiacciante di fatti, che ha determinato una concatenazione di teorie, da quella di Newton alla relatività di Einstein, tutte fondate su quel presupposto (4).

   Io intendo ora dimostrare che questo ferreo castello di idee è solo un castello di carta. La fisica unigravitazionale è venuta così tardi nella storia del pensiero proprio a causa di una dannata serie di circostanze sfavorevoli, che hanno reso inaccessibile la verità sotto mille apparenze contrastanti e montagne di formule matematiche. L’avevamo sotto gli occhi, si può dire, da che mondo è mondo. ma “non abbiamo visto la foresta, perché c’erano gli alberi”, come bene osserva un proverbio russo (5) (6).

La soluzione del problema è infatti a portata di mano e la sua evidenza è elementare. Eccola, in sintesi:

Nell’universo, nessuna “forza” è assolutamente proporzionale alle masse dei corpi cui è applicata (nemmeno quindi la gravitazione) e nessuna è assolutamente non proporzionale (forze comunemente ritenute non gravitazionali). L’esatta proporzionalità è un limite teorico, verso cui tende una forza, quando l’estensione spaziale dei corpi soggetti è trascurabile rispetto alle variazioni puntuali del campo agente, che è quello di un corpo di massa e intensità relativamente molto grandi. È anche un limite di tendenza l’assoluta non proporzionalità, quando il campo agente varia invece moltissimo da un punto all’altro del corpo soggetto, a causa della grande estensione di questo rispetto alla sorgente di forza.

   A questo punto il nostro lavoro potrebbe anche ritenersi concluso, tanto chiara è ormai la questione in sede teoretica. Sarà tuttavia interessante esaminare in ogni particolare l’argomento.

   Spieghiamo prima il fenomeno in termini semplici, partendo dai sassi che Galileo faceva cadere dalla torre di Pisa. Il valore puntuale del campo terrestre applicato a ciascuna particella elementare di quei sassi è quasi identico da una particella all’altra, a causa della piccola estensione delle pietre rispetto al campo terrestre: pertanto il valore totale del campo risulta con grandissima approssimazione equivalente al prodotto del campo applicato a una singola particella per il numero delle particelle; onde la quasi esatta proporzionalità della gravità con la massa delle pietre, che pertanto subiscono cadendo una eguale accelerazione, benché abbiano masse differenti.

   Torneremo dopo sull’importanza del quasi. Rivolgiamoci ora al sistema planetario: il ragionamento è analogo. Per la ridotta estensione dei pianeti – anche di quelli maggiori – rispetto al campo solare, il valore puntuale di questo varia in misura trascurabile da un punto all’altro di ciascun pianeta, che quindi assorbe un valore globale di campo quasi proporzionale alla propria massa. Poiché la variazione del campo solare si fa sensibile solo su grandi distanze, il valore di accelerazione appare legato solo al raggio dell’orbita e indipendente dalla massa, come appunto suggerisce la terza legge di Keplero.

   Passiamo all’esempio apparentemente opposto del convoglio ferroviario e del trenino, che oppongono ai nostri sforzi una resistenza ben diversa. Ciò avviene, perché il campo della forza che noi applichiamo al treno o al trenino, benché si estenda teoricamente all’intera massa dell’oggetto (così come il campo solare rispetto a un pianeta), esplica il massimo della sua intensità su una ridottissima zona periferica di esso, a contatto con le nostre mani, diminuendo fin quasi a zero subito al di là di questa zona (7). Pertanto il valore totale del campo assorbito dall’intero oggetto non è il risultato della moltiplicazione del valore puntuale di campo relativo a una particella della zona di applicazione della forza per il numero totale delle particelle, ma è anzi lontanissimo da tale risultato (8). Esso è in realtà la media dei differentissimi valori puntuali subiti dalle particelle dell’oggetto moltiplicata per il numero delle stesse particelle (ovvero la somma dei valori puntuali). Tale prodotto, per il pratico annullamento del campo oltre la zona di applicazione, risulta poco diverso dal treno al trenino, ma tuttavia non è identico, essendo di pochissimo maggiore nel primo caso; quindi anche la non proporzionalità della forza (come la proporzionalità per la gravitazione) non è un fatto assoluto, ma quasi esatto: un’identica forza, di tipo ritenuto non gravitazionale, applicata a due corpi di massa differente (treno, trenino), produce in teoria nel corpo più grande un’accelerazione superiore, benché di pochissimo, a quella prevista dalla proporzionalità inversa rispetto alla massa (9). Ma la misura della differenza è in pratica irrilevabile, per la fortissima riduzione del campo al di là del punto di diretta applicazione della forza.

   Vediamo ora che cosa significa realmente, in base a prove fisiche e matematiche, il quasi negli esempi dati. Supponiamo che due delle pietre di Galileo abbiano rispettivamente massa 1 e massa 2: la forza di gravità, e cioè il peso, se non è esattamente proporzionale alla massa, sarà per la seconda impercettibilmente inferiore a due volte il peso della prima, che subirà quindi nel vuoto un’accelerazione leggermente maggiore, cadendo al suolo un tempuscolo prima dell’altra (10). Solo l’esiguità della differenza, in rapporto alla brevità degli spazi percorsi, ci impedisce di rilevare l’errore commesso da Galileo (e da noi, quando ripetiamo agli alunni l’esperienza nel “tubo di Newton”).

   Se Galileo avesse lasciato cadere le due pietre da altezze cosmiche, invece che dalla torre di Pisa, avrebbe osservato le seguenti difformità dal suo precedente esperimento:

   a). I gravi in caduta libera, partenti da velocità zero rispetto alla Terra, non seguono una traiettoria radiale (perpendicolare) ma spirale, nel senso ovest-est della rotazione terrestre: il che avviene per la struttura a vortice, che ho più volte descritta, del campo gravitazionale (11).

   b). Le due pietre non percorrono una stessa spirale di collisione, ma la traiettoria della pietra più grande diverge verso est da quella della pietra più piccola, essendo accelerata un poco meno in direzione del centro della Terra: ciò appunto perché il suo peso è un poco meno del doppio dell’altra, che per massa è la metà.

   c). Al termine della loro traiettoria le due pietre, partite insieme, non cadranno nello stesso momento, bensì quella di massa maggiore toccherà il suolo un poco dopo dell’altra, a prescindere dal percorso alquanto più lungo: la pietra più grande è meno veloce.

A questo punto c’è chi sogghignerà, osservando che nessuno si prenderà la briga di salire tanto in alto a gettar pietre per smentire Galileo e Newton. Ma ecco una curiosa prova di ciò che ho affermato. Leggiamo quanto dice alla voce “Meteorite” la EST (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, Mondadori) nella nuova edizione – si badi – in 12 volumi:

“Quando una meteorite si frantuma nell’aria, i frammenti si sparpagliano ma cadono tuttavia circa in un’area ellittica (fig. 3): quelli di massa maggiore hanno un percorso più lungo” (vol. VIII, pag. 368).

 

E perché, scusate la curiosità, i frammenti più grandi hanno un percorso più lungo?

La nostra curiosità è acuita dal tentativo di spiegazione che era stato fatto nella precedente edizione della EST, in 10 volumi, dove è scritto testualmente:

“… quelli di massa maggiore continuano a velocità maggiore e perciò hanno un percorso più lungo” (vol. VI, pag. 731).

Naturalmente si trattava di una sciocchezza, perché, se i pezzi più grossi cadessero più veloci verso la Terra (come dovrebbero, per il fatto che vincono meglio la resistenza dell’aria), essi avrebbero un percorso di collisione più diretto e più breve, e non il contrario! Lo sanno bene i ragazzi, che fanno coi ciottoli il “rimbalzello” nell’acqua dello stagno: le selci più pesanti affondano subito. Gli estensori della EST si saranno quindi accorti della cantonata e hanno rimediato nel modo più semplice, abolendo cioè qualsiasi spiegazione d’un fatto assolutamente incomprensibile per loro.

   La spiegazione sta invece nell’analisi da noi svolta in precedenza e ne rappresenta una prova evidentissima: i frammenti maggiori non pesano proporzionalmente alla propria massa, ma un poco meno, e quindi sono accelerati verso la Terra alquanto meno dei frammenti più piccoli. Le lunghissime traiettorie delle meteoriti mettono così in chiaro ciò che nell’esperimento di Galileo e nel “tubo di Newton” viene mascherato dalla brevità del percorso: La gravità differisce dalle altre “forze” solo per grado di proporzionalità con le masse, rispetto a cui nemmeno essa è esattamente proporzionale. Ovvero: il coefficiente di proporzionalità con le masse è, per qualsiasi forza, < 1 e > 1/m.

   Circa la vera forma della traiettoria dei gravi, spirale e non radiale (la perpendicolarità è apparente e si riferisce solo al tratto finale della caduta), non vale la pena di dilungarci, tanto la cosa è evidente, dopo quello che in precedenti lavori ho avuto modo di dire sulla geometria e gli effetti del campo unigravitazionale (cfr. n. 11). Gli stessi percorsi meteoritici, identici alle traiettorie spirali subatomiche, sono lì a dimostrarcelo, offrendo un modello del processo di aggregazione generale della materia, sia abiologica (spirali galattiche, nei cristalli, ecc.), sia vivente (strutture spirali negli organismi animali e vegetali) (12).

   La precedente fig. 3, assume una grande importanza, per chiarire alla luce del ragionamento fin qui sviluppato il trapasso graduale dalla gravitazione comunemente intesa (apparente proporzionalità alle masse) alle “forze” varie ritenute non gravitazionali (apparente non proporzionalità alle masse). Tale trapasso caratterizzerà evidentemente una fascia di fenomeni intermedi, la cui apparente assenza ha fatto credere a una gravitazione del tutto diversa dalle altre forze cosmiche.

Consideriamo dunque le modalità del fenomeno, così descritto nella didascalia:

 “La meteorite attraversa per due volte gli strati più densi dell’atmosfera terrestre”.

Si verifica cioè un rimbalzello della meteorite sugli strati esterni dell’atmosfera, che a un superficiale osservatore può sembrare in tutto simile al gioco che fanno i ragazzi scagliando ciottoli a pel d’acqua. Noi ora invece sappiamo che esso ha un andamento opposto: mentre nel rimbalzello dei ragazzi il ciottolo più grosso affonda prima (tragitto più breve tra la superficie dell’acqua e il fondo), in quello della meteorite i frammenti maggiori compiono nell’atmosfera un percorso più lungo, sicché proprio il più grosso di tutti finisce col rimbalzare sugli strati superiori dell’aria, ricadendo assai più in là dell’area di caduta dei pezzi minori. La differenza di comportamento dipende dal fatto che nel primo caso, per le brevi proporzioni del fenomeno, prevale il fattore della resistenza del mezzo (ciottolo più grosso, percorso più breve) su quello generale della caduta dei gravi da noi analizzato (massa maggiore, percorso più lungo); nel secondo, accade l’inverso.

   L’importanza di questa constatazione risalterà dalle sue straordinarie, paradossali conseguenze. Infatti essa significa che, tra due corpi interagenti di dimensioni molto diverse, a misura che aumenta la massa del corpo minore, il corpo maggiore fa proporzionalmente sempre meno presa sull’altro, la cui “inerzia” gradualmente cresce: aumentano così le probabilità di questo di svincolarsi dall’attrazione del corpo più grande con una deviazione (“fuga“) in direzione dei campi esterni. Nel caso dei meteoriti, mentre i minori collidono con la Terra, il rimbalzo gravitazionale di quelli maggiori, meno accelerati verso il centro della Terra, può al limite portarne qualcuno a entrare in orbita o addirittura a sfuggire all’attrazione terrestre. Così la fascia degli asteroidi segna una zona di raccolta, nel campo gravitazionale solare, del materiale meteoritico che per dimensioni e distanze dal Sole ha evitato sia la caduta verso il Sole sia la fuga verso gli spazi esterni: rappresenta cioè, come meglio vedremo in seguito, il corrispettivo d’una “barriera di potenziale” nucleare, all’esterno della quale prevalgono eventi di fuga e orbitano pianeti maggiori, mentre all’interno prevalgono eventi di collisione e orbitano solo pianeti minori. Tale barriera può essere di regola attraversata solo da corpi molto leggieri (rispetto al Sole-nucleo), come le comete, che tuttavia ne subiscono un effetto gradualmente disgregante.

   Si comprende ora facilmente che gli eventi di deviazione e fuga gravitazionale, per chi li legga in modo distorto, da posizioni visuali o mentali non favorevoli, possono acquistare l’aspetto di fenomeni “repulsivi”, determinati da urto e rimbalzo contro una “barriera”. Sorge quindi l’idea, nell’osservazione del microcosmo, che corpi in fuga relativa – per attrazione in diverse direzioni – si “respingano” vicendevolmente! I rami di lunghissime iperboli gravitazionali, confusi con gli asintoti per un facile errore di prospettiva, appaiono come traiettorie rettilinee nei fenomeni di “incidenza e riflessione” (13). Pertanto, se noi potessimo guardare i fatti del macrocosmo con occhi di dimensioni cosmiche, non c’è dubbio che li vedremmo accadere con modalità identiche a quelle che attribuiamo ai fatti del microcosmo: il significato della fisica unigravitazionale sta nella continua dimostrazione di questa identità.

   La nostra analisi teorica, che nella seconda parte di questo lavoro sarà corredata da un esame di carattere matematico, porta a concludere che, quanto minori sono le differenze di massa tra i corpi sparsi in una relativamente molto grande porzione di spazio e quanto minori sono le densità dei singoli corpi (maggiori i volumi per unità di massa), tanto meno sensibile è la proporzionalità del campo (della “forza”) di ciascuno con le masse degli altri, tendendo tale campo verso una non proporzionalità, che non è però mai assoluta, come del resto la creduta proporzionalità della forza di gravità. Aumentano in corrispondenza eventi fenomenicamente “repulsivi”, in realtà di deviazione gravitazionale e fuga (con apparente continuo “palleggio” dei corpi da un campo all’altro), dovuti all’equilibrio delle reciproche interazioni. Elettroni tra loro o protoni, o altre particelle comunemente ritenute dello stesso “segno”, sembrano respingersi mutuamente, con “forze” che, non essendo considerate gravitazionali, vengono valutate in base al criterio – oppostamente erroneo – d’una non proporzionalità assoluta, come cioè conferenti accelerazioni inversamente proporzionali alle masse: in realtà il loro comportamento nasce dall’essere trascurabili le differenze tra le singole masse e non è diverso da quello delle stelle d’un ammasso o d’una galassia, le quali pure, rimescolandosi di continuo, sembrano sfuggirsi tra loro, senza che per questo venga in mente ad alcuno di attribuire loro un qualsiasi “segno”.

  Il vincolo gravitazionale complessivo, che smentisce ogni ipotesi di repulsività, appare dall’aggregarsi dei corpi, di masse non dissimili per ordine di grandezza, in grandi sistemi di forma perfettamente analoga nel macro- e nel microcosmo: gl’immensi vortici delle galassie, fatti di miliardi di stelle, non differiscono sostanzialmente dai vortici di elettroni che, radunandosi a miriadi, dànno origine a un campo elettromagnetico (non si commetta l’errore di credere che il campo raduni gli elettroni, mentre sono questi che creano il campo, riunendosi e componendosi ondulatoriamente). Se dunque gli elettroni, visti ognuno in rapporto ad un altro, paiono respingersi, essi mostrano invece chiaramente il generale legame attrattivo, quando viaggiano a sciami composti di innumerevoli individui. Stando così le cose, anche a prescindere dalle specifiche considerazioni di ordine matematico che faremo in seguito, è del tutto assurdo che, mentre gli elettroni (o i protoni) si respingerebbero, perché forniti di una tessera con su scritto “meno” (o “più”), e con una forza non proporzionale alle reciproche masse, le stelle d’una galassia invece si attirerebbero con una forza di tipo del tutto diverso, esattamente proporzionale alle loro masse.

   D’altra parte, la constatazione innegabile della enorme compattezza di sistemi come i nuclei atomici, che sono costituiti principalmente di particelle – i protoni – contraddistinte dai fisici con uno stesso “segno”, ha costretto a postulare nuove “forze” più potenti della “repulsione elettrostatica” e tali da cementare i corpuscoli riottosi in una ferrea unità. Sono così nate le “forze nucleari”, suddivise in vari tipi di interazioni, il cui numero va moltiplicandosi in relazione al sorgere di sempre nuove, inevitabili contraddizioni.

   Riassumendo, il concetto di “forze non gravitazionali”, con funzione di spinta invece che di attrazione e col carattere di non proporzionalità alle masse soggette invece che di proporzionalità, deriva semplicemente dalla prospettiva da cui si considerano i fenomeni. Noi abbiamo del resto un ampio campo di verifica della gradualità con cui nell’universo, macro- e microcosmico, si passa da eventi determinati da forze apparentemente non proporzionali alle masse a quelli dipendenti da una forza apparentemente proporzionale alle masse soggette. Una prima dimostrazione è stata fornita dall’analisi delle traiettorie meteoritiche; il comportamento delle particelle nei campi elettromagnetici offrirà un termine di confronto sperimentalmente operativo.

   L’azione d’un campo magnetico su particelle di ordine atomico o subatomico è all’incirca analoga per proporzioni a quella d’un campo gravitazionale sidereo su piccoli corpi celesti: gli effetti generali saranno quindi analoghi.

   La prima cosa che si osserva con immediata evidenza è che le traiettorie delle particelle sono affatto identiche – come già s’è detto – a quelle delle meteoriti nel campo gravitazionale terrestre (14). Ma la considerazione più importante è che non si tratta di una somiglianza generica. Lo “spettrografo di massa” misura la massa delle particelle dalla deviazione che esse subiscono attraversando successivamente un campo elettrico e un campo magnetico: esso è fondato sul principio che, quanto più piccola è la massa, tanto più forte è la deviazione, perché maggiore è l’accelerazione centripeta che la forza del campo esercita sulla particella. Ebbene questo è esattamente il fenomeno che ho in precedenza descritto e spiegato per le meteoriti, riprendendolo dalla EST: i frammenti di meteorite di maggior massa hanno un percorso più lungo, essendo deviati dalla gravità meno dei frammenti più piccoli; il che significa che subiscono un’accelerazione centripeta inferiore e che quindi la gravità non è precisamente proporzionale alle masse! La corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo viene così convalidata da sempre più chiare conferme.

   Tutto ciò implica subito un’altra stupefacente constatazione: il calcolo delle masse nello spettrografo parte dal presupposto che la forza d’un campo elettrico o magnetico, non essendo gravitazionale, non sia proporzionale alle masse delle particelle e produca quindi accelerazioni inversamente proporzionali alle masse medesime. Ma il raffronto col fenomeno meteoritico dimostra che tale presupposto è egualmente erroneo: anche la non proporzionalità della forza elettrica e magnetica è da intendersi in modo non assoluto, così come la proporzionalità della forza gravitazionale. Ne deriva la necessità d’una revisione critica accurata delle misure di massa nella fisica nucleare, essendo l’imprecisione dei fondamenti e dei metodi di tali misure causa non secondaria del polverone che avvolge la classificazione delle particelle.

 

(1) G. Gamow, Biografia della fisica, Mondadori (pag. 147):

“Faraday, convinto dell’esistenza di profondi legami reciproci fra tutti i fenomeni esistenti in natura, aveva tentato di trovare una relazione tra le forze elettromagnetiche e le forze di gravità di Newton. Nel suo Diario di laboratorio nel 1849 è scritto:

“Gravità. Certamente questa forza deve avere qualche connessione sperimentale con l’elettricità, il magnetismo e altre forze, in modo da interagire con esse con azioni reciproche ed effetti identici. Pensiamo un poco al modo di organizzare una raccolta di prove concrete e di esperienze in questo senso”.

Ma i numerosi esperimenti eseguiti alla ricerca della suddetta relazione furono tutti infruttuosi e lo stesso Faraday conclude così quella parte del suo Diario:

“Qui finisce per il momento la mia fatica: i risultati sono negativi, ma essi non scuotono minimamente la mia profonda convinzione dell’esistenza di una relazione tra la gravità e l’elettricità, anche se non sono riuscito a dimostrarla”.

Un secolo più tardi un altro genio riprenderà il problema nel difficilissimo tentativo di sviluppare la cosiddetta “teoria unificata dei campi”, che avrebbe dovuto riunire in un unico assetto tutti i fenomeni gravitazionali e quelli elettromagnetici; ma, come Faraday, anche Albert Einstein morì senza avere raggiunto il suo scopo”.

(2) Cito da Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, II, pag. 509. Dei moderni studiosi si può dire con Foscolo: “Conosco il meglio ed al peggior m’appiglio”.

(3) Vedremo più avanti il meccanismo di questa legge. Diciamo intanto che la fisica scolastica si limita ad attribuire ad esso il nome di “inerzia”, senza spiegarne la natura né giustificarne le anomalie.

(4) W. R. Fuchs, La fisica moderna illustrata, introduzione di Max Born, Rizzoli (pagg. 231-232):

“Newton ha scoperto la legge di gravitazione universale che consente di descrivere sia la caduta di una mela da un albero sia la rivoluzione della Luna o di un satellite artificiale attorno alla Terra. Questa forza di attrazione della Terra ha anche per conseguenza di far cadere tutti i corpi con la stessa velocità, astrazion facendo dalla resistenza dell’aria, fatto già noto a Galileo. E tale forza di attrazione si distingue da tutte le altre forze che agiscono sui corpi proprio per questa proprietà. Einstein fu il primo a riconoscere il significato universale di tale fatto. Nella teoria gravitazionale di Newton la libera caduta di un corpo ha un’importanza solo secondaria, mentre Einstein ne fece la base della sua teoria generale della relatività”.

(5) Lo riprendo da Gamow, op. cit. (pag. 147):

” … Non va dimenticato che spesso, per inquadrare teoricamente un fenomeno fisico, una troppo profonda conoscenza della matematica si rivela inutile o addirittura dannosa; il ricercatore può facilmente smarrirsi nella giungla delle formule complicate e, per dirla con un proverbio russo, non vede la foresta perché ci sono gli alberi”.

Gli scienziati d’oggi, valenti nel predicare, fanno come Ovidio: “Video meliora proboque, deteriora sequor”. [Alla nota 2 la traduzione del Foscolo]

(6) Prima di smontare l’ultima catena di falsi indizi, che hanno finora mascherato l’identità della gravitazione con ogni altra forza dell’universo, portando alle nefaste conseguenze della relatività e delle varie teorie formalistiche, ricordo che mi sono occupato in precedenti lavori degli altri aspetti di apparente diversificazione: come la differente intensità della gravitazione e delle forze elettronucleari, la “repulsività” nei fenomeni elettrici e magnetici, le leggi ondulatorie della gravitazione e dell’elettromagnetismo. Su alcuni di tali aspetti ritornerò più avanti, nel corso di questa stessa indagine. Preciso, comunque, che gli studi – compreso l’attuale – venuti successivamente alla prima opera (Fisica del campo unigravitazionale, in 2 voll.) non fanno che estrinsecare in forma più discorsiva concetti e implicazioni già contenuti nella sostanza di quel trattato.

Se, per fare un esempio, mi capitasse di dover parlare del fenomeno delle glaciazioni terrestri, potrei solo particolareggiare una spiegazione già data in queste parole del 1° di quei due volumi (pag. 84):

“… per il carattere ciclico di tali fenomeni, v. § 40-(3); cfr. §§ 39-(1) e 50, e glaciazioni terrestri”.

La fisica unigravitazionale significa anche questa concisione, che deriva dalla semplicità e unicità della chiave che essa fornisce. L’unificazione dei campi, così a lungo e inutilmente perseguita, si celava dietro la farragine di complicatissime assurdità teoriche.

(7) Della diversa progressione con cui può diminuire l’intensità di un campo in rapporto alla distanza, si parlerà più oltre.

(8) Daremo in seguito una tabella esemplificativa.

(9) Ciò a prescindere dallo “starting transient”, l’iniziale apparente aumento di massa dovuto al tempuscolo di ritardo entro cui il corpo raggiunge l’accelerazione prevista dal secondo principio della Dinamica: il fenomeno si verifica ad ogni istantanea variazione della forza applicata.

(10) Possiamo considerare del tutto trascurabile, data l’estrema piccolezza delle pietre rispetto alla Terra, il fenomeno reciproco dell’accelerazione impressa dalle pietre alla Terra stessa: accelerazione teoricamente maggiore prodotta dalla pietra di massa più grande

(11) V. in particolare: Fisica del campo unigravitazionale, § 2; Introduzione alla fisica unigravitazionale, pagg- 17-18; La fisica unigravitazionale, §§ 12-18. Ma sentiamo ancora Geymonat (op. cit., Il, pag. 296), a proposito di una giusta idea di Cartesio, rimasta sfortunatamente in fieri:

“Partendo da tali principi, Cartesio formulò la sua famosa teoria dei vortici. Come una pagliuzza che galleggi sull’acqua è attirata da un vortice formatosi nella corrente, così una pietra è attirata verso la Terra da un vortice. Analogamente i pianeti (inclusa la Terra) roteano, con i vortici che li circondano, in un vortice più grande attorno al Sole. Newton dimostrerà matematicamente che la teoria dei vortici non regge. Essa rappresentò tuttavia una tappa fondamentale nella storia del pensiero scientifico: un’ipotesi ardita, che tentava di unificare in una sola macchina tutti i processi dell’universo. Come tale, esercitò un grande fascino su tutti gli spiriti scientifici dell’epoca, finché non fu sostituita dalla ben più solida teoria newtoniana della gravitazione universale”.

Diavolo d’un Newton, che ha potuto dimostrare matematicamente che una galassia spirale, un ciclone, una conchiglia, una molecola di DNA, due lumache in amore, un cristallo, una pigna, un rampicante, un corno, l’acqua che defluisce nello scarico del lavabo, la vertigine (in latino, vortice) da cui ci sentiamo risucchiare per un calo di pressione, per un sentimento sublime o per attrazione del vuoto, infine – senza eccezione – una qualsiasi struttura minerale, vegetale, animale, psichica – altrettanti vortici, piccoli e grandi, tutti a far marameo – sono cose che non stanno in piedi!

Quanto alla teoria newtoniana della gravitazione e agli osanna di Geymonat, andiamo appunto vedendo come stiano in piedi.

(12) R. P., La fisica unigravitazionale, pagg. 36-57, figg. 12-16.

(13) R. P., La fisica unigravitazionale, § 18.

(14) L’ordine delle velocità di traslazione è ovviamente diverso, essendo in rapporto a interazioni universali che accelerano enormemente di più i corpi di piccolissima massa che non quelli di grande massa (per le velocità orbitali e traslatorie, v. “Tempo nuovo”, nn. 5-6/1972, pagg. 63 e sgg.). È questa una riprova che la gravità non è in assoluto proporzionale alle masse, ma appare tale in un ambito molto ristretto di rapporti. Quanto alle folli velocità delle galassie, che sono arrivate ormai a superare la stessa velocità della luce, esse appartengono solo alla fantasia dei fisici moderni, che ignorano la vera natura del “red-shift” cosmico (v. La fisica unigravitazionale, § 29).

Per le aporie della legge di Newton, v. “Gravitazione” nell’Enciclopedia Italiana.

 

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