Return to Sezione 4 Gli articoli degli anni 1972-73 sul campo unigravitazionale. Premessa.

B) Magnetismo e calore (Parte seconda).

B) Magnetismo e calore (Parte seconda).

   Premettiamo un breve raccordo con la prima parte. Nella trattazione precedente si è parlato, tra l’altro, della contrazione o dell’espansione di un sistema gravitazionale a causa di qualche interazione straordinaria. Gli elementi orbitanti incontreranno regioni a più alte Vo , se si avvicinano al nucleo del sistema, e a più basse Vo , se si allontanano. Ciò risulta chiaro, se si considerano le velocità orbitali dei pianeti in rapporto all’ampiezza delle loro orbite.

   Se un sistema si scompone in più sistemi minori, meno intensi gravitazionalmente, questi avranno singolarmente delle Vo meno elevate del sistema originario. Ad esempio, la Terra ha nel sistema Sole-Terra una velocità di orbitazione pari a circa 30 km/s, mentre la Luna, nel sistema Terra-Luna, ha una velocità di circa 1 km/s. Lo stesso avviene tra domini magnetici maggiori e minori.

 

Tempo nuovo, Napoli 1973, n.2:

Il campo unigravitazionale

MAGNETISMO E CALORE (Parte seconda).

di Renato Palmieri

                               Le scale della temperatura. I passaggi di stato. Campo magnetico e calore interno.

Torniamo al problema della contrazione d’un sistema gravitazionale causata dal prevalere dell’attrazione interna su quella esterna. La progressiva miniaturizzazione dei domini magnetici comporta il continuo decrescere delle relative velocità orbitali Vo . Ne derivano due principali conseguenze, che passiamo ad esaminare: una consiste nell’aumento della “conduttività” elettrica; l’altra nella diminuzione della “temperatura assoluta“, nel significato che più oltre definiremo e non in quello dell’inutile scala Kelvin.

Quando i domini magnetici di una sostanza sono molto piccoli, particelle in moto di traslazione attraverso essi hanno scarse probabilità di esserne catturate. Abbiamo già visto nel precedente capitolo che le velocità di traslazione sono più elevate delle velocità di orbitazione. Infatti la traslazione è un moto gravitazionale influenzato da domini esterni più ampi, complessi ed intensi di quelli attraverso i quali si compie. Pertanto i piccoli domini, con le basse velocità orbitali ad essi relative, non riescono a trattenere se non una minima parte del flusso di particelle esterne, ossia quelle poche che, decelerate da contrastanti interazioni gravitazionali, assumono una velocità pari o inferiore alle Vo dei singoli domini, entrando in moto di orbitazione o di collisione rispetto ai corpuscoli materiali.

Definiamo la “resistenza” della sostanza a un flusso di corpuscoli, in traslazione attraverso essa, come la capacità di trattenere un numero maggiore o minore di particelle in transito. È subito evidente che la resistenza è tanto minore (e inversamente, maggiore la “conduttività“), quanto più spinta è la miniaturizzazione dei domini magnetici, perché più basse sono le Vo , e quanto più regolare è la loro struttura e organizzazione, perché meno frequenti sono le dispersioni interne e meno sensibili gli effetti deceleranti.

Così, pur prescindendo in questa sede dallo studio della costituzione intima dell’atomo, abbiamo potuto stabilire le cause gravitazionali della “corrente elettrica”. I corpuscoli in causa sono principalmente gli elettroni, particelle che, raggiungendo nei loro moti orbitali la periferia atomica, sono più facilmente soggette a fenomeni di trasmigrazione in massa. Ci siamo già occupati del significato gravitazionale dell’ “attrattività” e della “repulsività” nei fenomeni elettrici e del rapporto protone-elettrone . Aggiungiamo qui che la “corrente elettrica” non va immaginata sotto la rappresentazione schematica di un flusso all’incirca lineare di elettroni, bensì come la traslazione di innumerevoli successivi “occhi” ciclonici lungo il conduttore, con vortici di elettroni simili a quelli delle masse atmosferiche. Lo spostamento lineare di elettroni è dunque limitato rispetto alla massa totale degli elettroni coinvolti, verificandosi essenzialmente la trasmissione a catena di successive perturbazioni elettroniche sotto forma di vortici da un capo all’altro del conduttore.

La seconda conseguenza della miniaturizzazione dei domini magnetici è la diminuzione della “temperatura assoluta”, che, ripetiamo, non ha nessun riferimento con la corrente definizione della stessa.

A questo proposito, è da rilevare il carattere rudimentale dei comuni concetti fisici di termodinamica. Consideriamo, per esempio, due oggetti identici per forma e volume, uno di ferro e uno di oro, aventi un termometro incorporato. Portiamo ora gli oggetti alla stessa temperatura (supponendola entro i limiti dello stato solido): quella che il termometro segna – quali che siano la scala e lo “zero” di riferimento – e che il nostro senso del tatto avverte, è la “temperatura impropria, o strumentale” ed ha un valore composito, fisicamente ambiguo. È facile infatti osservare che l’effetto identico prodotto nel termometro (eguale espansione ed ascesa della colonnina di mercurio) è stato provocato in condizioni diversissime della materia costituente i due oggetti. Tale diversità si può ridurre a due principali fattori, entrambi ben evidenti: la densità, maggiore nell’oro che nel ferro, e il grado magnetico, essendo l’oro una sostanza diamagnetica (ossia con domini più piccoli) e il ferro una sostanza paramagnetica (con domini più ampi).

Abbiamo innanzi detto che minori domini comportano minori velocità orbitali Vo e quindi minori velocità effettive di orbitazione Vor nelle strutture corpuscolari: questo elemento, se non fosse compensato da altre condizioni, dovrebbe produrre nel termometro un’espansione minore per l’oro che per il ferro, per effetto della semplice differenza di struttura atomica tra i due metalli. Essendo infatti ognuno dei corpuscoli corrispondenti (elettroni, protoni, neutroni, ecc.) animato nell’oro da velocità di orbitazione comparativamente inferiori rispetto al ferro, vi si deve riscontrare – in termini convenzionali – un’ “energia cinetica” meno elevata. Ma nell’indicazione del termometro ciò sarà evidentemente compensato dall’altra diversa condizione, la quale è la densità, maggiore nell’oro che nel ferro. Ed infatti ogni unità di volume del bulbo termometrico viene colpita nell’oro da un maggior numero di particelle che nel ferro: l’ “energia cinetica” (Ec = m v2/2) assorbita dal mercurio è eguale nei due casi, proprio perché si stabilisce un equilibrio tra due diversi fattori, e cioè nell’oro a una massa volumetrica (o densità) maggiore corrisponde una minore velocità corpuscolare, nel ferro a una densità minore una maggiore velocità delle particelle. In definitiva, una eguale “temperatura strumentale”, essendo ben nota la differente densità del ferro e dell’oro, è la prova certa – proprio sulla base della formula dell’ “energia cinetica” – che le velocità corpuscolari sono meno elevate nell’oro che nel ferro. Stante poi la diversa natura magnetica delle due sostanze, rimane confermato ciò che s’è detto precedentemente, che il diamagnetismo (oro) è caratterizzato da velocità orbitali inferiori – per i singoli domini – a quelle del paramagnetismo (ferro).

Accertato il carattere misto della “temperatura impropria, o strumentale”, definiamo ora il senso della nostra “temperatura assoluta”, la cui importanza vedremo tra poco: questa deve riferirsi a una scala che tenga conto esclusivamente di uno dei due fattori della temperatura impropria, cioè delle velocità corpuscolari. In altre parole per una eguale temperatura strumentale dell’oro e del ferro, il primo è invece – quanto alla temperatura assolutapiù “freddo” del secondo.

Per renderci ben conto del differente modo di variare delle due temperature, costruiamo delle scale esemplificative. Supponiamo di comprimere un gas, in maniera che la sua massa volumetrica (o densità d), e cioè la massa totale delle sue particelle nell’unità di volume, si raddoppi successivamente secondo i valori convenzionali 2 (iniziale), 4, 8, … Supponiamo inoltre di poter misurare la velocità media delle particelle del gas, indicando col valore convenzionale 1 la velocità media iniziale e con essa la relativa “temperatura assoluta” del gas prima della compressione. La semplice contrazione del gas, con l’aumento della densità e il restringersi dei domini magnetici, indurrà nei moti corpuscolari una riduzione della velocità media.

Vediamo ora come variano la temperatura impropria TS , cui assegniamo il valore dell’ “energia cinetica” dell’unità volumetrica di gas, e quella assoluta TA per differenti riduzioni della velocità media iniziale: la temperatura strumentale di partenza (T’S) sarà:

T’S = 2 * 12 / 2= 1

e la temperatura assoluta

T’A = 1

A) Nell’ipotesi che la riduzione di velocità delle particelle sia del 25% per ogni raddoppio della densità, avremo:

d’ = 2                       d” = 4                         d”‘=8                                                                                                                                                                                                                                          v’ = 1;                      v” = 0,75                    v”‘ = 0,5625

          T’A = 1                     T”A = 0,75                  T”‘A = 0,5625

          T’S = 1                     T”S = 1,125                 T”‘S = 1,2656

(cioè: 2 * 12 / 2                4 * 0,752 / 2               8 * 0,56252 / 2)

Risulta dunque che, per una riduzione del 25% nella velocità media delle particelle ad ogni raddoppio della densità, il gas diventa strumentalmente sempre più “caldo”, ma in senso assoluto sempre più “freddo”.

B) Supponendo invece che la riduzione della velocità media sia del 33,(3)% per ciascun raddoppio della densità, la scala sarà la seguente:

……………….d’ = 2;……………………. d” = 4;…………………………… d”‘ = 8

……………….v’ = 1;……………………. v” = 0,(6);……………………….. v”‘ = 0,(4)

……………….T’A = 1;…………………… T”A = 0,(6);……………………… T”‘A = 0,(4)

……………….T’S = 1;…………………… T”S = 0,(8);……………………… T”‘S = 0,79

(cioè:……….. 2 * 12 / 2;…………..…….4 * 0,(6)2 / 2;……………………8 * 0,(4)2 / 2)

In tal caso, quindi, il gas diventa sempre più “freddo” sia per il nostro termometro, sia in assoluto.

C) Perché infine la temperatura strumentale rimanga stazionaria, la riduzione di velocità delle particelle dovrà essere di poco inferiore al 30%, esattamente come segue:

……………….d’ = 2;……………………. d” = 4;…………………………….d”‘ = 8

……………….v’ = 1;……………………. v” = 1/Ö 2 = 0,707;……………… v”‘ = 0,5

……………….T’A = 1;………………….. T”A = 0,707;……………………… T”‘A = 0,5

……………….T’S = 1;………………….. T”S = 1;…………………………… T”‘S = 1

(cioè:……….. 2 * 12 / 2;………………. 4 * (1/Ö 2)2 / 2;………………….. 8 * 0,52 / 2)

Il gas, sempre più compresso e sempre più “freddo” secondo la temperatura assoluta, conserverà ora invariata la temperatura strumentale.

Si comprende, così, facilmente, che la temperatura strumentale da sola, col suo carattere composito dovuto alla concorrenza di densità e velocità corpuscolari, misura i fenomeni calorici in maniera squilibrata e contraddittoria, contrassegnando con risultati alterni (aumento, diminuzione o stabilità) processi che in assoluto sono unidirezionali. L’uso indifferenziato della temperatura impropria nella termodinamica corrente impedisce pertanto un’esatta valutazione teorico-pratica dei fenomeni stessi, specie in riferimento ai problemi dei passaggi di stato.

Ciò che abbiamo detto a proposito della contrazione d’un sistema gravitazionale vale, con ragionamento inverso, per l’espansione del sistema in caso di prevalente attrazione esterna (il primo dei due casi da noi considerati come alteranti lo stato di equilibrio orbitale). Si deve pertanto osservare che, mentre la velocità corpuscolare media (e quindi la temperatura assoluta) tende ad aumentare con l’espansione, la temperatura strumentale diminuisce, rimane invariata o cresce a seconda della percentuale minore o maggiore dell’incremento di velocità in rapporto al decrescere della densità.

A questo riguardo, si possono leggere nei comuni testi di fisica incredibili assurdità, come la seguente spiegazione del raffreddamento di un “gas reale” che si espanda adiabaticamente (cioè senza scambi di calore col mondo esterno):

“Un tale raffreddamento è spiegabile se si pensa che le molecole costituenti un gas reale, nell’allontanarsi le une dalle altre, subiscono un rallentamento (e quindi una diminuzione dell’energia cinetica) dovuto all’azione delle forze di coesione che, seppur debolmente, tendono a mantenerle unite” (Fisica di Caianiello, De Luca e Ricciardi, 2° vol., pagg. 134-135).

In realtà è evidente che l’espansione del gas si è potuta verificare solo per un fenomeno esattamente contrario a quello ivi ipotizzato e cioè per un acquisto dì velocità, che provoca nelle molecole un comportamento di reciproca fuga invece che di attrazione coesiva: se il sistema cionondimeno si raffredda strumentalmente per “diminuzione dell’energia cinetica”, questa diminuzione è dovuta al forte decremento della densità, che viene ad essere più influente dell’aumento di velocità delle singole molecole nella formula dell’energia cinetica.

Per convincersene, è opportuno esaminare concretamente il processo nella “macchina di Linde”. Prelevata una certa quantità di aria dall’atmosfera, la comprimiamo fino ad una pressione di circa 200 atm (fase I), inviandola quindi a un refrigerante, che la riporta alla temperatura ambiente (fase II). Aperta una valvola, la pressione scende da 200 a 20 atm (fase III): nel gas che così si espande si riscontra un raffreddamento di circa 50°C. Ebbene, l’interpretazione corrente attribuisce tale raffreddamento alla semplice espansione del gas che avviene nella fase III, prendendo come erroneo punto di riferimento la “temperatura ambiente” riottenuta nella fase II. È vero invece che il raffreddamento assoluto (non quello improprio, o strumentale) è stato provocato già nella fase I, di compressione, che ha costretto le particelle d’aria a ridurre progressivamente le proprie velocità corpuscolari. L’iniziale riscaldamento strumentale si spiega con l’aumento della massa volumetrica, non ancora compensato dal diminuire graduale delle velocità atomiche. La refrigerazione della fase II, ristabilendo la temperatura ambiente nonostante il forte aumento della densità, cioè della massa per unità di volume, ci dice, proprio con la formula Ec = m v2/2, che le velocità corpuscolari sono già molto diminuite nell’aria da noi compressa: quando questa viene liberata attraverso la valvola, i suoi moti orbitali atomici, pur registrando delle accelerazioni nella fase di decompressione, risultano di gran lunga meno veloci rispetto alle normali condizioni atmosferiche. Di qui il raffreddamento strumentale di 50°C, che ha la sua ovvia origine assai più a monte della fase di espansione del gas e che dimostra, uno tra mille possibili esempi, la puerilità concettuale della odierna fisica teorica.

Del resto, se i “gas reali” folleggiano in questo modo nei libri di fisica, figuriamoci quelli “ideali o perfetti“! Dire che hanno la bacchetta magica, è poco:

“Dalle relazioni testé scritte si deduce che al diminuire della temperatura si riducono il volume e la pressione del gas perfetto, finché, alla temperatura di -273,15°, entrambi divengono nulli” (testo citato, pag. 90)!

E veniamo finalmente al motivo determinante di questo lavoro: il rapporto vero tra magnetismo e calore. Questa fondamentale relazione resta incomprensibile nella sua essenza, finché si cerca di stabilirla sulla base della “temperatura strumentale”, che introduce – come s’è visto – nei risultati aspetti contraddittori e paradossali. Diventa invece chiarissima alla luce del nostro concetto di “temperatura assoluta”. Infatti il progresso dell’organizzazione magnetica della materia, dal dismagnetismo al paramagnetismo e al diamagnetismo, coincide con una continua diminuzione della temperatura assoluta, cioè delle velocità corpuscolari, conseguenza univoca del processo di addensamento gravitazionale. Non è invece direttamente legato alle variazioni della temperatura impropria, che per le ragioni dette manifesta delle inversioni di senso rispetto alla temperatura assoluta.

Serviamoci, per un esempio, delle nostre scale teoriche. In un gas con caratteristiche analoghe a quello della scala A (come l’anidride carbonica), noi riscontreremo, comprimendolo, questo risultato: nonostante un progressivo aumento della temperatura strumentale TS , il gas a un certo punto perviene a liquefarsi, a causa della miniaturizzazione sempre più spinta dei domini magnetici e del continuo diminuire delle velocità corpuscolari.

Si verifica tuttavia che, in rapporto alla struttura atomica di ciascun gas, la riduzione delle velocità corpuscolari secondo la tabella A è di norma sufficiente a produrre la coesione liquefattiva solo fino a una certa TS , detta “temperatura critica” (nell’anidride carbonica: 31°C, “pressione critica” 73 atm). Ciò in quanto la riduzione geometrica dei domini corrispondente a successivi raddoppi della densità richiede una riduzione percentuale delle velocità atomiche progressivamente maggiore (passando dalla tabella A alla C e poi alla B). La temperatura critica si trova al limite fra la tabella A e la C; da quel punto, le velocità ridotte con la scala A risultano ancora troppo elevate rispetto alla piccolezza dei domini e delle relative velocità orbitali e provocano perciò, tra le particelle, prevalenti effetti di fuga gravitazionale, che impediscono la liquefazione.

I “passaggi di stato” sono dunque fenomeni di natura magnetica, ossia di “orientamento” connesso all’addensamento gravitazionale e conseguenti condizioni coesive. L’aggregarsi delle particelle ne riduce via via gli intervalli e le velocità orbitali atomico-molecolari, costringendole ad orientarsi magneticamente in domini sempre più piccoli e ordinati e aumentandone così l’interattività e la coesione gravitazionale. Cresce pertanto la stabilità reciproca delle parti del sistema, che passa dagli stati plasmatico e gassoso a quello liquido e poi al solido.

È ora evidente che il processo dell’orientamento magnetico è correlato unicamente alla riduzione delle velocità atomiche (“temperatura assoluta”), e non alla “temperatura strumentale”, la quale, manifestandosi sotto forma di “energia cinetica”, comprende due fattori non univoci nella determinazione del fenomeno magnetico: la massa volumetrica (densità) e le velocità atomiche. In effetti l’orientamento magnetico, mentre è sfavorito da un aumento delle velocità corpuscolari, migliora invece, di regola, col crescere della densità: è proprio questo doppio senso che, non capito, ha reso finora impossibile una giusta analisi dei fenomeni magnetici e termodinamici.

Riferendo erroneamente il magnetismo alla temperatura impropria, non si riesce, per esempio, a capir nulla del campo magnetico dei corpi celesti:

“Sebbene siano state avanzate diverse ipotesi sulla origine del campo magnetico terrestre, nessuna di esse al giorno d’oggi sembra essere abbastanza soddisfacente. D’altra parte, si può con una certa sicurezza (sic) scartare l’ipotesi che attribuisce il campo magnetico terrestre all’esistenza di materiali magnetizzati permanentemente in prossimità dei poli magnetici, in quanto, alle temperature che si suppongono raggiunte all’interno della Terra, le sostanze come il nichel, il cobalto ed il ferro perdono le loro peculiari caratteristiche magnetiche” (testo citato, 3° vol., pag. 82).

Ma ormai ci è nota la soluzione del busillis: benché la temperatura strumentale tenda a crescere dalla periferia verso l’interno dell’astro, ciò è dovuto per gran parte all’aumento della densità media della materia, mentre, a causa di questo stesso aumento di densità, vanno decrescendo (sempre in media) le velocità atomico-molecolari, ossia la “temperatura assoluta” del sistema: entrambi questi fattori favoriscono l’orientamento magnetico, che perciò diviene sempre più elevato procedendo verso il nucleo, ad onta che risulti superato di molte lunghezze il famoso quanto insignificante “punto di Curie”. Meravigliarsi delle proprietà magnetiche del “caldo” nucleo terrestre è identico al non capire come mai possa esistere ghiaccio secco alla bella temperatura di + 55,2°C: naturalmente a una pressione elevatissima, di ben 8000 kgp/cm2.

L’analisi gravitazionale del magnetismo ha completato anche la demolizione della vecchia formula di Newton, chiarendo un altro dei fattori che ad essa mancano e che pertanto la invalidano nella misura delle interazioni microcosmiche (da cui l’equivoco di “forze” diverse dalla gravitazione che sarebbero operanti nell’ambito atomico-nucleare). Il primo, come sappiamo, è rappresentato dalla densità. Questa, tuttavia, si nasconde grossolanamente nella cosiddetta “costante universale di gravitazione”, la quale esprime la densità media della rarefatta materia macrocosmica (*) e pertanto, ben lungi dall’essere una “costante universale”, è in realtà una variabile! Il che è, tra l’altro, dimostrato dal fatto che, nonostante la grandissima precisione dei moderni strumenti di misura, non si è potuti andare, nel calcolarla, al di là della meschina approssimazione di 1 su 500!

Altro necessario fattore mancante è appunto la misura del campo magnetico. Il pregiudizio che i fatti magnetici siano una cosa diversa dai fenomeni gravitazionali ha portato a non vedere che, se due masse di ferro calamitato (deuteroparamagnetico) si attirano molto di più di due eguali masse di ferro protoparamagnetico, ciò è a causa della perfetta coordinazione delle linee gravitazionali nel primo caso.

Questi elementi (densità e campo magnetico, oltre alla massa) ed altri ancora, che non possiamo ora discutere, dovranno confluire in una nuova formula che voglia render conto unitariamente e con precisione matematica di tutte le interazioni gravitazionali macro- e microcosmiche. Qui si può solo accennare che nell’intimo grado magnetico della struttura corpuscolare risiede una delle fondamentali ragioni della diversa interattività di particelle come protoni e neutroni o come fotoni e neutrini.

La ristrutturazione della termodinamica su basi unigravitazionali ci ha fornito gli strumenti per una conoscenza scientifica delle condizioni esistenti nei nuclei dei sistemi gravitazionali, siano questi dei corpi celesti, ovvero cellule, atomi o altri aggregati materiali. Il processo spaziale e temporale di addensamento gravitazionale determina, come s’è visto nel corso del presente lavoro, il parallelo aumento – dalla periferia verso l’interno – dell’orientamento magnetico della materia e della conduttività elettrica. E di qui occorre partire per un successivo approfondimento della termodinamica biologica, con uno studio dei fenomeni della crescita, della senescenza e della malattia in genere negli organismi viventi. L’analisi gravitazionale degli eventi biologici è infatti decisiva ai fini non solo d’una loro corretta interpretazione, ma altresì della migliore padronanza di essi nell’interesse dell’uomo.

Dovremo anche accertare perché mai l’universo e la vita abbiano deciso di esistere ad onta del “secondo principio della termodinamica” e delle capriole che il Monod deve fare per conciliarlo con essi (**). Il “secondo principio della termodinamica” e il “principio di indeterminazione” sono validi in natura solo in rapporto al “grado di entropia” (per i profani: confusione) che regna nelle idee della fisica moderna.

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(*) Lo ha sospettato anche Dennis Sciama: “Ma se la nostra teoria è valida, vediamo che in questa costante si cela, travestita, la densità media della materia nell’universo!” (“L’inerzia”, in Fisica e cosmo, Zanichelli, pag. 60).

(**) J. Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, pagg. 27-29, 102-103, 159-160. Il dubbio è atroce: nella biosfera “il mantenimento, la riproduzione e la moltiplicazione di strutture dotate di un ordine elevato sembrano incompatibili con il secondo principio della termodinamica. Tale principio stabilisce, in effetti, che ogni sistema macroscopico si evolve solo in un senso, in quello della degradazione dell’ordine che lo caratterizza” (pag. 27). Segue una serie acrobatica di salti mortali.

 

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