Return to Sezione 3. Equazioni. La gravitazione ondulatoria.

Capitolo 3.8 Il “corpo nero” e l’effetto Compton.

Capitolo 3.8   Il “corpo nero” e l’effetto Compton.

A)    La radiazione cavitale, o del “corpo nero”.

   § 1. La nascita della meccanica quantistica nel nostro secolo è di quelle che si definirebbero “podaliche”. Il feto si presenta al parto con i piedi invece che con la testa: l’arte “ostetrica” della fisica moderna suggerisce allora di salvaguardare i piedi, senza curarsi della testa. Di conseguenza, il genio del ventesimo secolo è colui che riesce meglio a descrivere la conformazione di un alluce, anche se non sa dirci che cosa lo fa muovere.

Analogamente, la radiazione del “corpo nero” presentò a Planck nel 1900 un diagramma particolare di curve sperimentali che non rispondevano ai concetti usuali: erano i piedi del feto. Ebbene Planck, invece di arrivare al perché di quella anomalia – sforzandosi, cioè, di trovare la testa -, si mise con grande impegno a modificare l’equazione classica, aggiungendovi nuovi ingegnosi parametri, fino a farne una “scarpa” – la “formula di Planck” – il più possibile a forma di quei teneri piedini. Egli decideva, così facendo, – come si legge testualmente nell’Enciclopedia Italiana alla voce Quanti – “di rinunciare a interpretare il meccanismo di questo fenomeno”. Così la testa, purtroppo, uscì malconcia dal parto. E perciò ancora oggi nessuno sa, né si preoccupa di sapere, perché il “corpo nero” si comporta in quella strana maniera. Noi però siamo in grado di dirvelo. Vediamo, dunque.

   § 2. Nelle figg.55 e 56 riportiamo due stralci della voce citata Quanti dell’Enciclopedia Italiana, relativi a ciò che abbiamo osservato nel paragrafo precedente. Il nostro discorso si fa qui necessariamente alquanto più tecnico e più sintetico, presupponendo una conoscenza almeno generale dell’argomento che va sotto il nome di “radiazione del corpo nero”.

La formula che si legge in testa alla fig.56, indicata con (1), darebbe il valore dell’intensità della radiazione in relazione alla frequenza e alla temperatura del corpo nero secondo le leggi classiche dell’elettromagnetismo, ma essa non corrisponde alle verifiche del fenomeno per le diverse frequenze e temperature, come sperimentalmente mostrato dal diagramma di fig.55. Quella formula vorrebbe che la massima intensità (oltretutto, “infinita”) risultasse alla massima frequenza, decrescendo con la frequenza, mentre il diagramma dimostra che tale massimo (non infinito) si raggiunge su frequenze medie a tutte le temperature (le varie curve del diagramma).

Fig.55

Fig.56

 

Planck, allora, dopo aver trovato che l’energia è proporzionale alla frequenza secondo una costante empirica h (“quanto d’azione”), lavora sulla formula (1) aggiungendovi nuovi complicati parametri e trasformandola infine nella formula (2), così da costringerla ad aderire alla “gobba” del diagramma. Egli, cioè, si comporta esattamente come un sarto di fronte a un vero gobbo: un sarto “artista” che gli cuce pazientemente addosso un vestito, che alla fine gli sta a pennello. A differenza di un bravo medico, che vuole invece curargli la scoliosi. Noi siamo quel medico.

   § 3. Ed ecco la cura. Siamo certi addirittura che quelli tra i lettori che ci hanno letto più attentamente la conoscono già.

L’aumento della temperatura del corpo nero scatena all’interno la fuga dei fotoni in tutte le direzioni. Le loro interazioni generano propagazioni di tutte le lunghezze d’onda percepibili strumentalmente. Le loro traiettorie sono innumerevoli, in un andirivieni inimmaginabile e velocissimo tra le pareti interne del corpo nero; i loro percorsi complessivi hanno misure diversissime. Lungo questi percorsi opera la pulsazione: il risultato è che le lunghezze d’onda iniziali aumentano progressivamente e a partire dalle alte frequenze si trasformano in medie frequenze, tirandosi appresso il proprio carico corpuscolare. Si forma così, statisticamente, la “gobba” del diagramma, perché al di là di un certo limite di frequenza i percorsi sono di misura ridotta. Il sarto Planck non ci aveva pensato, ma i suoi apprendisti ne sanno meno di lui. Ci consultino per i loro gobbi: la visita è gratuita.

B)    L’effetto Compton

   § 4. E’ il naturale seguito dello stesso problema, benché sembrino due cose differentissime per la fisica ufficiale. Il carattere precipuo di questa è, come diciamo sempre, la sua assoluta incapacità di correlazione tra gli innumerevoli aspetti della natura, per l’inesistenza di una visione logica d’insieme.

Anche per questo fenomeno dobbiamo presupporre una conoscenza preliminare dell’argomento. Nell’esperimento Compton, i fotoni deviati dagli elettroni della sostanza diffondente presentano un aumento di lunghezza d’onda tanto maggiore quanto maggiore è la deviazione subita: l’aumento è massimo per la diffusione in senso opposto alla direzione della radiazione primaria.

Non è consigliabile leggere le infinite pagine di fantasie puramente nominalistiche, che sono state scritte in proposito, a partire dallo stesso Compton, scopritore dell’effetto nel 1923 e premio Nobel per la fisica nel 1927. La fisica tradizionale non ha nessuna idea del carattere gravitazionale del fenomeno e vede solo qualcosa che sbatte contro qualcos’altro e torna indietro, come qualsiasi ragazzino che gioca a palla contro un muro: l’unica differenza è che essa usa “nomi” e “formule” difficili, che non hanno senso fisico. Ve ne diamo, perciò, noi la ragione vera in poche righe, con il solo riferimento ai nostri concetti sulla gravitazione espressi nelle sezioni 1 e 2.

L’entità della deviazione è gravitazionalmente tanto maggiore quanto più forte è l’interazione attrattiva esercitata dal corpo bersaglio (elettrone), che costringe il fotone a un giro di boa più stretto, e correlativa a questa maggiore interazione è – dopo quel giro di boa – l’entità della decelerazione del fotone in fuga dal bersaglio che lo attrae ora in senso contrario, per cui esso, rallentato, risentirà di più delle successive interazioni lungo il percorso di ritorno nella sostanza diffondente. Tale percorso, se può sembrare rettilineo e resta mediamente tale tra inizio e fine, è in realtà modificato continuamente da quelle interazioni, che lo allungano – sia pure in ambito infinitesimale – di più per una deviazione maggiore, ossia per una maggiore “frenata” iniziale.

L’allungamento avviene secondo una generale modalità, che è la seguente. La traiettoria fotonica, che nel “vuoto” tende ad essere rettilinea, in un mezzo materiale omogeneo, a causa delle interazioni mediamente equilibrate delle particelle circostanti, assume l’aspetto di una infinitesimale elica, che perciò ne allunga il percorso (non l’asse, che resta invariato). L’elica presenta spire tanto più ampie, e quindi il percorso è tanto più lungo, quanto minore è la velocità del fotone nel mezzo. (Per gli indeterministi: noi ci serviamo di una mente che pensa, loro di strumenti che non pensano).

La conclusione è ora ovvia: la pulsazione, già chiamata in causa per il “corpo nero”, provoca anche in questo caso l’aumento della lunghezza d’onda della propagazione che si è creata nel mezzo, aumento maggiore sui percorsi effettivamente più lunghi, che sono quelli a deviazione maggiore.

Per dirla un’altra volta sotto metafora, i fisici tradizionali ritengono che il percorso Napoli-Roma sia solo quello in linea d’aria. Ma per ferrovia è più lungo, e se c’è un incidente, un dirottamento su via Cassino lo rende ancora più lungo.

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