Capitolo 2.3 “Elettricità liquida” e “fusione fredda”: ciò che la fisica odierna vede, ma non capisce…
L’assunto del capitolo precedente è che non è vero che gli elettroni (o i protoni) si respingono. E’ vero anzi il contrario: gli elettroni (o i protoni) si attirano.
Enunciamo la tesi in termini gravitazionali:
A relativamente grandi distanze reciproche ed elevate velocità rispettive, sulla fondamentale attrazione tra gli elettroni (o protoni) prevale un generale movimento di fuga verso l’esterno, analogo – per ciascun elettrone (o protone) nei confronti di tutti gli altri – a quello della cometa del primo ragionamento rispetto al Sole (v.capitolo precedente).
Perché si abbia la prova che questo è vero, dovrà verificarsi che, riducendo con particolari accorgimenti distanze e velocità reciproche tra gli elettroni (o protoni), essi facciano prevalere la naturale tendenza attrattiva, aggregandosi invece di fuggirsi.
Ebbene, ciò è precisamente avvenuto già varie volte in esperimenti riportati con clamore da tutti i mezzi di informazione, ma nessun fisico mai ne ha tratto le giuste conseguenze teoriche. Si potrebbe di nuovo ironizzare dicendo che il pensiero fisico contemporaneo, per vedere ciò che non è, non vede ciò che è.
1) Nel 1976 veniva comunicato (LE SCIENZE n.98, ottobre 1976, articolo di Gordon A. Thomas) che elettroni intrappolati a bassa temperatura nel reticolo di un cristallo di germanio si erano coagulati, formando delle “goccioline”, che furono dette di “elettricità liquida”.
2) Nel 1989 protoni intrappolati a bassa temperatura nel reticolo di cristalli di palladio o di titanio si fusero in nuclei di elio o di trizio, creando lo “scandalo” della fusione fredda nella comunità scientifica mondiale.
In entrambi i casi, in condizioni perfettamente analoghe, elettroni e protoni mostrano di non accorgersi dell’esistenza di una “barriera elettrostatica”. Ma i due episodi sono estremamente significativi dei metodi di interpretazione, verifica e utilizzazione dei risultati della ricerca da parte dell’ambiente scientifico contemporaneo. A mia conoscenza, un solo fisico – Giuliano Preparata dell’Università di Milano – ha colto la precisa correlazione esistente tra i due fenomeni, pur leggendola nella stessa chiave sbagliata del Thomas a proposito dell’elettricità liquida.
L’analisi corretta di entrambi i fenomeni è identica ed è semplice. Il reticolo cristallino accorcia coattivamente le distanze tra le particelle (elettroni o protoni); la bassa temperatura ne riduce le velocità reciproche: il risultato necessario – gravitazionale – è il prevalere di eventi di orbitazione mutua sugli eventi di fuga e pertanto i corpuscoli (elettroni o protoni) si aggregano. Dal che si ha, in via perfettamente naturale, elettricità liquida o fusione fredda. La “barriera elettrostatica” (o di Coulomb) è un puro formalismo, privo di qualsiasi vero fondamento. E’ evidente che una tale analisi fa giustizia di tutte le teorie vigenti sull’elettromagnetismo. Ma vediamo quali sono le reazioni degli ambienti ufficiali, quando cade un principio basilare della scienza “normale” (come la chiama Kuhn). Esse si riassumono così:
a) inventare una qualche spiegazione ad hoc dei risultati anomali di un esperimento: ossia, tentare di mettervi una toppa;
b) negare ostinatamente la validità dell’esperimento “scandaloso”;
c) mettere la sordina al problema e cercare di farlo dimenticare.
Infatti, nell’articolo citato di Thomas sull’elettricità liquida (LE SCIENZE n.98) la violazione della barriera elettrostatica da parte degli elettroni è sanata con l’originale espediente di combinare gli elettroni, negativi, con “vuoti carichi positivamente” (testuale), al fine di non ammettere che si sono agglomerati tra loro (titolo dell’articolo: Un liquido composto da elettroni e buche). E il Preparata, a proposito della fusione fredda, non trova di meglio che ribaltare la spiegazione inventata dal Thomas, facendo combinare i protoni, positivi, con delle “buche” ovviamente negative (PANORAMA n.1251, 8 aprile 1990). Il suo merito è, tuttavia, quello di avere convalidato con la sua giusta correlazione la realtà della fusione fredda.
La quale, invece, ha subìto negli anni trascorsi dal 1989 tutte e tre le tecniche ostruzionistiche prima ricordate, nonostante le centinaia di conferme venute da esperimenti effettuati in tutto il mondo: l’italiano Scaramuzzi se ne fece addirittura brevettare il procedimento. Essa è in verità scandalosa per tre buoni motivi: fa cadere un pilastro delle teorie moderne; furono due chimici – Fleischmann e Pons – e non due fisici a scoprirla; è una fusione “povera” (qualche milioncino di spesa per realizzarla), mentre quella “calda” è ricchissima: migliaia di miliardi per costruire acceleratori di particelle sempre più potenti ed inutili. Per fortuna il Congresso americano ne ha bloccato uno del costo preventivato di 11 miliardi di dollari, ma ne erano già stati buttati al vento due miliardi (tremila miliardi di lire).
Elettroni e protoni hanno giocato alla fisica contemporanea una seconda colossale beffa: quella della perfetta eguaglianza di “carica”, pur nella diversità di “segno” e di massa. E’ naturalmente innegabile che la misura sperimentale di tale quantità (che noi chiamiamo intensità di campo, al posto di “carica”) dà un valore assolutamente eguale per l’elettrone ed il protone, ma solo perché la forza “repulsiva” manifestata dalle due particelle viene registrata dagli strumenti a un limite subatomico di campo posto dalla natura a distanze diversissime dal centro del corpuscolo: una distanza molto maggiore per il protone che per l’elettrone, predeterminata dal fatto che lo strumento misuratore non può superare quel limite di intensità che determina gli eventi di fuga gravitazionale (apparente “repulsione”) e il cui valore è necessariamente lo stesso in entrambe le misure. E’, per così dire, il calibro gravitazionale dello strumento materiale a precostituire l’eguaglianza, che, quindi, non attiene all’intensità gravitazionale intrinseca delle due particelle, ovviamente molto maggiore nel protone.