Capitolo 2.6 Gravità – Massa.
Il famoso principio galileiano sulla caduta dei gravi, che nel vuoto subiscono tutti la stessa accelerazione indipendentemente dalla massa, rappresenta un altro banco di prova della validità dei metodi definiti “scientifici” dalla scienza moderna.
Rileviamo, prima di tutto, che si tratta di un “principio”, cioè di un postulato su base empirica di cui si ignora la causa. Ciò è tanto vero che da Galileo, passando per Newton, fino a Eötvös (1922) e ad oggi (1986, con la nascita d’una presunta “quinta forza” o “supercarica”) esso viene continuamente sottoposto ad esperimento per confermarne la veridicità. Questa pertanto non ha base teorica: se infatti l’avesse, non ci sarebbe evidentemente bisogno di sperimentare il principio.
Di questo è ben noto il significato concreto: il peso di un corpo (cioè la forza di gravità applicata al corpo) è proporzionale alla massa. Un corpo di massa doppia rispetto ad un altro pesa il doppio e pertanto cade con la stessa accelerazione (per F=ma, se F e m sono proporzionali).
Questo principio è anche uno dei due postulati fondanti della teoria della relatività (l’altro è l’invarianza della velocità della luce): è detto anche principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale. Dato per vero il principio di equivalenza, si porrebbe per esso un altro elemento di inconciliabilità tra la gravitazione e le altre forze, che non hanno il carattere di proporzionalità con la massa soggetta.
Pochissimi, però, oggi sanno che dieci anni fa, nel gennaio 1986, fu dato un annuncio clamoroso: il principio galileiano si era rivelato falso. Un gruppo di ricercatori americani aveva riconsiderato gli esperimenti effettuati dal fisico ungherese Eötvös e pubblicati nel 1922, che sembravano convalidare il principio di equivalenza, scoprendo invece che i risultati veri dicevano il contrario: nel vuoto una piuma toccherebbe il suolo prima di una moneta, ossia la massa minore viene accelerata più di quella maggiore,
Le tecniche applicate al caso dalla scienza “normale” sono state le stesse di quelle che abbiamo enunciate a proposito della fusione fredda: tentare un accomodamento, negare i risultati anomali, farli dimenticare. Ci fu anche allora un ridicolo tentativo di rappezzo, fidando sul fatto che la gente comune è ormai abituata a giurare sulle più spinte fantasie dei fisici teorici. Si escogitò una “quinta forza” o “supercarica” che agirebbe come controspinta alla gravitazione sulla massa più grande facendola cadere più lentamente: insomma, una specie di miracolosa levitazione.
Per documentarsi sul problema, consigliamo la lettura dell’articolo citato di A. M. Nobili su L’ASTRONOMIA (aprile 1987). Riportiamo per brevità e chiarezza di sintesi uno stralcio della notizia uscita su IL MATTINO del 10 gennaio 1986:
(…) Le risultanze del riesame degli esperimenti di Eötvös contraddicono la lezione galileiana secondo cui una piuma e una moneta, se lasciate cadere nel vuoto d’aria, precipiterebbero con la medesima velocità ed accelerazione. La Supercarica ipotizzata da questo studio agisce in contrasto con la forza di gravità, ed è in funzione della massa e della composizione atomica di un determinato oggetto: la Supercarica è maggiore nella moneta che nella piuma, e pertanto la piuma dovrebbe precipitare più velocemente. Se la Supercarica esiste, allora viene rimesso in discussione anche uno dei presupposti basilari su cui Albert Einstein fondò la teoria della relatività generale, e cioè che tutti i corpi in caduta subiscono la medesima accelerazione.
Dal che si deduce il senso vero del rattoppo: il crollo del principio di equivalenza significa il venir meno di uno dei pilastri della relatività.
Noi ora invitiamo i lettori a riflettere su quanto stiamo per dire. Tredici anni prima della notizia che abbiamo commentata, l’autore di queste note scriveva, nel saggio citato in bibliografia La gravità e le altre “forze” (Tempo nuovo, nn.3-4 del 1973, pagg.48-50), nel contesto della sua concezione generale del problema della gravitazione:
(…) Supponiamo che due delle pietre di Galileo abbiano rispettivamente massa 1 e massa 2: la forza di gravità, e cioè il peso, se non è esattamente proporzionale alla massa, sarà per la seconda impercettibilmente inferiore a due volte il peso della prima. Solo l’esiguità della differenza, in rapporto alla brevità degli spazi percorsi, ci impedisce di rilevare l’errore commesso da Galileo (…). Se Galileo avesse lasciato cadere le due pietre da altezze cosmiche, invece che dalla torre di Pisa, avrebbe osservato le seguenti difformità dal suo precedente esperimento: (…) Al termine della loro traiettoria le due pietre, partite insieme, non cadranno nello stesso momento, bensì quella di massa maggiore toccherà il suolo un poco dopo dell’altra (…) : la pietra più grande è meno veloce.
Se l’autore non è da considerare un profeta, la sua previsione, fondata su prove naturali e fatta in tempi in cui era folle contestare il principio galileiano, può solo confermare l’esattezza della visione cosmologica unigravitazionale. Egli infatti sostenne in quel saggio, con ragioni fisico-matematiche, che la proporzionalità della gravità alla massa è valida approssimativamente nel confronti di gravi relativamente piccoli rispetto a un campo enormemente più intenso e sconfina gradualmente nella non proporzionalità di forza a massa, quando lo squilibrio tra gravi e campo gravitazionale di riferimento diminuisce fino a sparire. Affermò inoltre che la gravità varia anche in relazione alla composizione atomica delle masse.
Durante la caduta su Giove della cometa Shoemaker-Levy nel luglio del 1994 i frammenti si sono sgranati, formando una collana la cui estensione è aumentata costantemente via via che si avvicinava a Giove (1.100.000 km a maggio: LE SCIENZE n.311, luglio1994). La prima domanda è: Come ciò sarebbe potuto accadere, se l’accelerazione della gravità gioviana fosse stata la stessa per tutti i frammenti? La seconda: Come mai sono piombati su Giove, in genere, prima i più piccoli e poi i maggiori? A entrambe le domande aveva risposto l’autore ventun anni prima, mentre i fisici del ’94 badavano solo allo splash. Nel citato saggio del 1973 l’autore aveva già osservato, a convalida del suo ragionamento, che nella frammentazione di uno stesso meteorite nell’alta atmosfera i pezzi più piccoli cadono prima, i più grossi dopo: anche in questo era stato ottimo profeta di quanto si sarebbe verificato con la caduta della cometa.
Si è così dimostrata ancora una volta l’unicità di comportamento tra la gravità e una qualsiasi altra forza.